Dipendenza affettiva
La dipendenza affettiva o love addiction è la condizione che nasce quando l’individuo diventa dipendente da un’altra persona alla quale è profondamente legato, della quale crede non può fare a meno per poter vivere o semplicemente funzionare.
Inizialmente l’altro offre sollievo temporaneo dal proprio senso di vuoto, insoddisfazione, inadeguatezza e malessere, maturati nel corso dell’infanzia. Ma a lungo andare, l’assoluto investimento nella relazione arriva a precludere qualunque possibilità di sviluppo personale. Il sé si atrofizza e, gradualmente, la relazione diventa l’unica condizione accettabile della propria esistenza.
Viene speso molto tempo a controllare il partner e le sue attività, provocando la riduzione di attività piacevoli per la persona stessa.
L’assenza del partner è vissuta con estrema sofferenza, provocando una reazione fisica e comportamentale assimilabile ad una crisi di astinenza da sostanza. Quello che all’inizio della relazione era piacere, diventa sempre più un bisogno.
Il rifiuto può provocare grande sofferenza, emotiva e fisica.
Spesso i dipendenti affettivi applicano costanti sforzi per ricercare il proprio partner e le sue attenzioni, restando costantemente in allerta, cercando di cogliere tutti i segnali di allontanamento, riconducendo ciò che non funziona nella relazione solo a se stessi.
I dipendenti affettivi tendono a legarsi a “persone sbagliate”, abusanti da un punto di vista psicologico e/o fisico. Rimangono al fianco del proprio partner indipendentemente da quanto questo possa essere maltrattante, distaccato, indisponibile, invalidante, infedele, manipolativo o violento: la persona dalla quale più dipende il loro benessere è anche la prima a farle soffrire.
Di solito, i dipendenti affettivi sono persone che hanno vissuto fin da piccoli la sensazione di non essere mai abbastanza, di essere inadeguati, di avere valore solo se questo veniva riconosciuto dagli altri, di venire fraintesi e interpretati in modo sbagliato rispetto alle proprie vere intenzioni. Non hanno costruito una solida base sicura a causa di una neurodivergenza non riconosciuta o di stili di attaccamento insicuri o disorganizzati.
Se sei una persona autistica o plusdotata, questo ti sarà capitato molto di frequente e quindi è molto probabile che tu possa vivere relazioni assolutizzanti, nelle quali dare al partner il ruolo di “salvatore” e l’unico senso alla tua vita.
Spesso, inoltre, la relazione inizia quando il partner diventa un proprio interesse assorbente: questo porta la persona a legarli al suo oggetto di interesse, che però nel corso del tempo cambia, non resta stabile nelle dinamiche di interazione. Ma la persona autistica fatica a notare i cambiamenti e, se li nota, li attribuisce a sé perché è più facile pensare di poter controllare e modificare sè stessi. L’interesse assorbente, che dovrebbe nutrire e far stare bene, comincia allora a diventare pensiero ossessivo, che sfianca e distrugge.
Sarà importante che tu costruisca un senso di te efficace e saldo, una percezione sempre più forte di essere al sicuro con te: non hai bisogno di qualcuno che ti faccia sentire al sicuro. Le relazioni servono a nutrirci della parte affettiva, non a sopravvivere. Dobbiamo, da adulti, essere capaci di sentire di poter badare alla nostra sopravvivenza. Questo non vuol dire essere totalmente indipendenti, ma diventare autonomi nella scelta delle proprie priorità di vita.
Dottoressa Maddalena Genco

