Il nostro ingresso in questa vita lo facciamo all’interno di una relazione di dipendenza: fin dai primissimi momenti l’embrione ha bisogno del corpo della madre per potersi sviluppare, crescere e venire alla luce.

Senza questo rapporto di simbiosi, la vita stessa non nascerebbe.

Nel periodo successivo, ogni creatura ha bisogno che i suoi genitori si prendano cura di lei, nutrendola e accudendola per garantirne la sopravvivenza.

Senza questo rapporto di dipendenza, la vita non sopravviverebbe a lungo.

È solo quando ogni essere vivente diventa autonomo nel procacciarsi il cibo e nell’avere cura di sé stesso, che il bisogno di dipendere da qualcun altro viene meno. Subentra quindi autonomia e responsabilità personale nel portare avanti la nostra vita.

La modalità dipendente ha quindi un periodo funzionale di esistenza, che deve però giungere a un termine per lasciare posto all’autonomia e alla responsabilità personale. La naturale evoluzione è quindi un passaggio in queste tre fasi: simbiosi, dipendenza, autonomia.

Da adulti, se sviluppiamo (o manteniamo) una modalità dipendente stiamo dicendo: “ho bisogno che tu faccia qualcosa per me, così che io possa sentirmi bene, perché senza di te non riesco a farlo”.

Stiamo chiedendo all’oggetto verso cui si sviluppa dipendenza di creare in noi una sensazione percepita come positiva: fammi sentire felice, forte, invincibile; non farmi sentire il vuoto, il dolore, la paura, la solitudine…

In questo modo si da alle sostanze, all’alcool, al gioco d’azzardo, a una persona, al sesso, al cibo, la responsabilità di essere la fonte dalla quale far dipendere il nostro poter stare “bene” in questa vita, accollandosi però anche tutti gli effetti collaterali del caso.

Lo scopo di una terapia per il trattamento delle dipendenze è comprendere come si è arrivati a sviluppare questa modalità tossica, e successivamente riattivare le risorse personali che permettano di ri-assumersi la responsabilità del proprio benessere, smettendo di affidare questa responsabilità ad un “oggetto esterno disfunzionale”.